Riassunto
Il trattamento dei tumori ipofisari non GH-secernenti ha lo scopo di prevenire o limitare la compromissione della funzione ipofisaria, nonché le conseguenze dell’estensione a livello del chiasma ottico, dell’ipotalamo e dei seni cavernosi. La principale linea di trattamento di questi tumori dell’ipofisi è rappresentata dalla chirurgia, che è quasi sempre praticabile con approccio transfenoidale, con eccezione dei tumori molto voluminosi. Sebbene la resezione chirurgica determini una rapida decompressione del chiasma e dei nervi ottici e possa prevenire l’insorgenza o il peggioramento dell’ipopituitarismo, tuttavia, difficilmente permette una completa escissione del tumore, soprattutto in caso di estensione extrasellare. Residui tumorali si riscontrano nel 30–50% dei pazienti operati. La radioterapia viene considerata una terapia adiuvante nei pazienti con resezione chirurgica incompleta, allo scopo di prevenire la ricrescita del tumore e di ridurne i residui. Tale approccio terapeutico è, peraltro, gravato da alcuni aspetti negativi, come il lungo tempo richiesto per determinare un effetto completo, l’insorgenza di effetti collaterali acuti, come la neurite ottica e la necrosi cerebrale, e cronici, come l’induzione di ipopituitarismo. Inoltre, la ricrescita del tumore e la ricomparsa delle manifestazioni cliniche si verificano nel 20% dei casi trattati con radioterapia. Attualmente la terapia medica ha un suo razionale dopo l’intervento chirurgico e/o contemporaneamente alla radioterapia in attesa dei risultati di questa, nonché nei pazienti giovani al posto della radioterapia, allo scopo di preservare la fertilità, o negli anziani che non possono essere sottoposti ad intervento chirurgico. L’utilizzo degli analoghi della somatostatina nel trattamento di questi tumori è stato proposto sulla base dell’evidenza dell’espressione in vivo e in vitro dei recettori della somatostatina. Tuttavia, un’effettiva riduzione tumorale è stata dimostrata solo nel 13% di pazienti con adenomi clinicamente definiti non funzionanti (NFA) trattati con analoghi della somatostatina, indicando una scarsa correlazione tra espressione dei recettori per la somatostatina ed efficacia del trattamento con analoghi. Un discorso a parte merita il ruolo degli analoghi della somatostatina sulla cefalea e le alterazioni della funzione visiva. Un miglioramento di questi disturbi segue rapidamente l’inizio della terapia. Poiché non si assiste a nessuna contemporanea riduzione della massa tumorale, questo effetto sembra essere legato ad un’azione diretta degli analoghi sulla retina, sul nervo ottico e sulle strutture vascolari e cerebrali piuttosto che ad un’azione mediata dai recettori della somatostatina espressi dalle cellule tumorali. In conclusione, il trattamento con analoghi della somatostatina può essere considerato come alternativa temporanea alla chirurgia o nell’intento di ottenere un miglioramento della cefalea e dei disturbi visivi. Recentemente è stato anche proposto il trattamento combinato con analoghi della somatostatina e dopamino-agonisti, sulla base di un possibile sinergismo di azione.